Il culto pre-agatino:
Catania alla ricerca
del chiodo perduto
che trafisse Cristo

Il rito si celebrava a Catania fino all’800 ed era legato alla reliquia conservata nel Monastero di San Nicolò l’Arena di Nicolosi. Secondo le fonti fu Elena, la madre di Costantino, durante un viaggio in Terra Santa a trovare i simboli, poi sparsi nel mondo, del passaggio terreno di Gesù

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]L[/dropcap]a ricerca della Coppa del Cristo è la ricerca del divino che è in tutti noi. Alla mia età, si è disposti ad accettare alcune cose per fede». No, caro lettore, non stiamo per commentare la frase di un trattato di teologia o di un testo sacro. Infatti, queste parole sono tratte da un celebre film diretto da Steven Spielberg: Indiana Jones e l’Ultima Crociata. A prescindere dalle avventure del Prof. Henry W. Jones jr., magistralmente interpretato da Harrison Ford, pochi sanno che di coppe misteriose e reliquie miracolose si parlava anche a Catania fino al XX Secolo. La Storia, a volte, è davvero crudele: spazza via con un colpo di vento ogni cosa, anche la memoria. Eppure, il capoluogo etneo era invidiato da tutti. In un monastero, fra i più grandi d’Europa, veniva gelosamente custodita una prodigiosa reliquia: uno dei chiodi della crocifissione di Gesù.

DA GERUSALEMME ALLA SICILIA. Le fonti storiche e archivistiche tendono a confermare l’assunto che la regina Elena, madre dell’imperatore Costantino, nel 326 d.C. compì un viaggio in Terra Santa alla ricerca di oggetti che testimoniassero il passaggio terreno del Cristo, ed in particolare la sua morte e risurrezione. Pare che effettivamente ella trovò qualcosa. Si tratterebbe della croce, che da strumento di morte è diventato il simbolo della seconda religione per diffusione sul nostro pianeta. Migliaia di frammenti di questo celebre legno sono andati sparsi per il Mondo, ma Elena fece dono al figlio anche di altri oggetti: i chiodi della crocifissione. Dei quattro rinvenuti, in realtà, si sa ben poco e non è possibile stabilirne l’autenticità. La tradizione li vuole fusi all’interno di corone, diademi o altri oggetti sacri. Uno di questi, fu donato da Martino I di Sicilia, nel 1393, al monastero benedettino di S. Nicolò l’Arena a Nicolosi (CT).

La visione di Sant’Elena, Paolo Veronese, 1580 circa, Musei Vaticani

CATANIA, TRA FOLCLORE E IDENTITÀ. Chi s’intende di tradizioni e folclore locale, sa per certo che la celebrazione religiosa più importante per un catanese è la festa di Sant’Agata. Eppure, anche i più esperti ignorano che fino alla metà dell’800, a concorrere con i festeggiamenti agatini era la solennità del Santo Chiodo. Quest’ultimo era annoverato a tutti gli effetti come “patrono” della città di Catania. In effetti, la sfarzosa processione che si svolgeva prima il 3 maggio e, successivamente  (con il variare dei calendari liturgici) il 14 Settembre, era un evento particolarmente sentito dai cittadini del capoluogo etneo. Bisogna considerare, infatti, che la reliquia, trasportata definitivamente all’interno delle mura cittadine nella seconda metà del XVI secolo, era ritenuta artefice di tante manifestazioni miracolose. Certamente, fu per molto tempo il vanto del Monastero che ancora oggi sorge su Piazza Dante (nella prima metà del XVI secolo un’eruzione spinse i monaci a richiedere il trasferimento da Nicolosi a Catania, dove fondarono l’attuale Monastero di San Nicolò l’Arena) oggi sede del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania.

UNA STORIA DIMENTICATA. Già a partire dall’Unità d’Italia e dalla successiva soppressione degli ordini religiosi, il culto nei confronti del Santo Chiodo avvertì un periodo di decadenza. Il Novecento segnò definitivamente la fine di questa particolare tradizione. A nulla sono valsi gli sforzi delle autorità cittadine che nel 1989 offrirono ai monaci la possibilità di prestare nuovamente servizio a Catania. Si tentò di recuperare anche la festa ma ormai era troppo tardi: l’inesorabile scorrere del tempo aveva avuto la meglio e quindi, dopo un breve tentativo, il progetto fu abbandonato. Della reliquia ormai non si parla più. Talvolta al Castello Ursino la preziosa teca contenente il chiodo viene messa in mostra, eppure non suscita più l’interesse delle masse, devote e non. In fondo, si sa: siamo tutti bravi ad entusiasmarci davanti ad Indiana Jones e alle sue imprese in Paesi misteriosi, ma quasi mai sappiamo apprezzare i tesori nascosti nelle nostre terre.

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