Social pieni e piazze vuote: com’è cambiata la campagna elettorale per le politiche 2018?
In Sicilia sono spariti i manifesti elettorali. E quei pochi che sono rimasti risalgono al Referendum sulle trivelle. Niente più santini col faccione del candidato, niente porta a porta, niente palchi e bandiere sventolanti
Alle amministrative del 2012, ci aveva appassionato – e un po’ stranito – il “comizio senza pubblico” del candidato al comune di Catanzaro Francesco Nocera. Oggi ci appare del tutto normale vedere immagini come quelle del “candidato solitario” di CasaPound a Bologna, Filippo Berselli, munito di megafono a bordo di una vecchia Land Rover con al seguito unicamente un ciclista solitario, peraltro intento a inveirgli contro. In fondo, con una legge elettorale che non permette agli elettori di indicare alcuna preferenza, e i candidati già scelti dai partiti – ha fatto discutere, ad esempio, la scelta di “piazzare” Maria Elena Boschi all’uninominale a Bolzano e in cima a tre collegi del proporzionale in Sicilia – una gigantografia strategicamente posizionata al centro della piazza di paese non ha più senso.
Catania: un vecchio manifesto sul tema delle trivelle negli spazi deputati ad accogliere la propaganda delle elezioni 2018 (foto Giuseppe Tiralosi)
GIOVANI E POLITICA. LA CHIAVE SONO I SOCIAL NETWORK? Così, in una campagna elettorale i cui unici volti ammessi (e necessari) sono quelli dei leader, appare chiaro come i candidati abbiano scelto di puntare sui social network e sull’elettorato giovanile. Il nostro report sulla “Generazione 18”, ha messo in evidenza come ai diciottenni di oggi dei manifesti elettorali interessi poco o nulla: non frequentano le sezioni giovanili dei partiti tradizionali e discutono di politica solo tra le mura domestiche e a scuola. E proprio loro, a poche ore dal voto, rappresentano la fascia più cospicua di “indecisi”. Aggiungiamoci la dichiarata incertezza post-voto che potrebbe portare a nuove elezioni. È forse per questo motivo che sono spariti dalle piazze gli “appelli al voto”, mentre si sono moltiplicati i commenti ad avvenimenti lontani dalla politica: tra un’ospitata televisiva e l’altra, ad esempio, Matteo Salvini ha discettato di musica con i suoi follower commentando il Festival di Sanremo col tweet: «#Sanremo2018 mi è piaciuto. Sanremo per me è Luigi Tenco, De André, Vasco Rossi», citandoli anche un po’ a sproposito se pensiamo che Tenco si è suicidato protestando contro il sistema del Festival, De André non ha mai partecipato, e Vasco si è piazzato all’ultimo posto.
LA POLITICA A COLPI DI LIKE. La carta e le affissioni costano, il mezzo televisivo è un’arma a doppio taglio quando è presente un contradditorio che si rispetti, mentre i social media si configurano come luoghi in cui gli utenti/elettori si trasformano da content-readers a content-publishers, formando quella nicchia di pubblico che Chris Anderson in un articolo del 2004 su “Wired Magazine” ha definito “la coda lunga”. Guardando all’universo politico americano, Obama fu il primo a sfruttare le potenzialità del web mettendo in piedi una macchina mediatica senza precedenti: Twitter, Facebook, MySpace, YouTube e persino Yahoo Answer, divennero centri nevralgici dell’attività politica in rete da parte dei democratici. Il profilo twitter @BarackObama, lanciato il 5 marzo 2007, propose concetti semplici ed efficaci in 140 caratteri e fece spesso uso dell’hashtag #AskObama per interagire direttamente con gli utenti. Col passare del tempo – insieme a @POTUS, il profilo ufficiale della Casa Bianca – l’account è stato utilizzato personalmente da Obama anche e soprattutto in vesti informali, come in occasione della messa in onda della serie “House of Cards” con Kevin Spacey e Robin Wright – in cui twittò «Tomorrow: @HouseofCards. No spoilers, please» –, o della pubblicazione «a grande richiesta» della sua playlist musicale estiva del suo iPod. La campagna elettorale del “twittatore compulsivo” Donald Trump, si è contraddistinta come quella “più economica” proprio grazie al sapiente utilizzo dei social media. Qualche tempo fa uno dei fondatori di Twitter e co-creatore di Blogger, in un’intervista al New York Times aveva dichiarato: «Mi dispiace. Senza Twitter molto probabilmente Trump non sarebbe diventato Presidente». In Italia, si sa, arriviamo sempre con un po’ di ritardo. Copiamo, e lo facciamo male. I temerari che apriranno Facebook da qui fino al 4 marzo troveranno una campagna elettorale oscillante tra la trasposizione social di un gioco a premi di Mike Bongiorno e un infinito spot pubblicitario: «Vinci chi? Vinci Salvini. Più mi piace metti alla mia pagina Facebook e più veloce sei, più accumuli punti per vincere un post con la tua foto e riceverai una mia telefonata. E attento, se sarai tra i quattro vincitori della classifica settimanale verrò a bere un caffè con te».
Il PD ha puntato sullo storytelling con lo spot “Pensaci”, che vede protagonista una famiglia italiana, in auto, con il padre che borbotta: «Comunque stavolta il Pd non lo voto!», suscitando le immediate obiezioni di moglie e figli pronti a enunciare un elenco infinito di riforme fatte in questi anni dal governo uscente. Spoiler: il tocco “pop” di Renzi in bicicletta che risponde “Sicuro, sicuro?” è già diventato un meme.
E se le immagini che scorrono nei video dei “post sponsorizzati” di Emma Bonino e Giorgia Meloni sembrano prese dallo stesso spot (con la differenza di qualche “hijab” in più e un paio di riferimenti alla “famiglia della Mulino Bianco” in meno), in seguito al nuovo “contratto con gli italiani” firmato negli studi di Porta a Porta, le uscite di Berlusconi sono ogni giorno argomento di discussione su twitter: l’ultima «Non sono la fata turchina come dice Padoan, ma la bacchetta magica ce l’ho e sono il Mago Silvio». Nelle ultime 24 ore, l’hashtag satirico #PrometticomeSilvio è balzato in trend topic, generando 125.709 “impressions”. Infine, tra una diretta social e l’altra, il candidato premier del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, ha messo in scena una videochiamata social con il suo “alter ego” Di Battista, tra un turbinio di cuori e commenti di elogio dei fan/elettori.
Facebook e Twitter si configurano quindi come le nuove tribune elettorali? Maybe. I dati raccolti da Cnr e Policom in esclusiva per Repubblica hanno fatto emergere una miriade di “profili bot” che dispensano like, falsi profili a sostegno dei candidati (Berlusconi raggiunge il 16%) e “utenti inattivi” (Renzi tocca l’85% e il M5S tocca quota 80%). Insomma, se la cantano e se la suonano. Ma stavolta solo sul web.