Squarcialupo: un tragico sognatore nell’affresco infuocato di una Palermo rivoluzionaria

Un colpo di spada inflitto da un traditore ne segnò la morte, come accade ai grandi cavalieri della letteratura. Ma sulla lama di quel gladio si infranse anche il desiderio di libertà dell’intera isola, guidato da questo giovane nobile e dalla sua intraprendenza, su cui Natoli incentrò uno dei suoi romanzi. Lottò contro Viceré, contro soldati, contro signorotti abbarbicati ai propri privilegi e, soprattutto, contro certi schemi culturali. Di lui rimane, nel capoluogo, un ricordo simbolico. Legato, anche quello, ad una storia novecentesca di strenua resistenza

Ciò che rimane di imprese memorabili, talvolta, si può misurare nello spazio ridotto di un’iscrizione incorniciata nel marmo. In un simbolo tangibile, certo, simbolicamente rivolto all’alternarsi delle generazioni di ogni comunità. Ma ugualmente, in qualche modo, triste. Come un perenne rimando al fatto incontestabile che, prima o poi, sic transit gloria mundi. Eppure, a dispetto della loro intrinseca rappresentazione dell’effimero, certe storie, scolpite su quelle candide cornici dal tempo prima ancora che da mano d’uomo, a questo destino hanno saputo sottrarsi. Una di queste ha per sfondo Palermo. Per ricostruirne alcuni dettagli salienti, non è necessario perdersi tra gli scartafacci di un polveroso archivio. Ma dirigersi nei pressi di Porta D’Ossuna: là dove oggi giacciono i resti di quella che fu la Chiesa dell’Annunziata. Nel 1943 i bombardamenti alleati la sfigurarono, rendendola del tutto inagibile. La furia degli ordigni, tuttavia, lasciò che qualcosa sopravvivesse: il campanile e la sua base. Su quest’ultima, murata con particolare attenzione, campeggia una scritta dai toni solenni. E un nome che, a sentirlo pronunciare distrattamente, sembra quasi tirato fuori da una fiaba: Squarcialupo. L’enigmatico e intrepido giovane che sognò di cambiare il volto della propria città. Che pagò quell’utopia rivoluzionaria con la sua stessa vita. A lui è infatti associata la celebre congiura che insanguinò le strade di Palermo nel biennio 1516-1517, sapientemente ricostruita sul versante letterario dall’omonimo romanzo di Luigi Natoli. Benché tuttavia le fonti non siano concordanti sul ruolo che Giovan Luca – la cui famiglia, originaria di Pisa, aveva scalato le gerarchie dell’alta società palermitana con un’intraprendenza che anticipò per certi versi, la futura epopea dei Florio – ebbe nello scoppio dei disordini (qualcuno lo vorrebbe fautore, altri semplicemente un favoreggiatore) egli fu il protagonista di una stagione, quella della lotta ai Viceré, che profondi segni lasciò nel popolo siciliano.

L’attività di Squarcialupo in quegli anni fu frenetica. Prima prese parte alle sollevazioni contro Hugo de Moncada, nella speranza che la morte del Re Ferdinando il Cattolico ne sancisse l’indebolimento. Poi, quando il tentativo si risolse in un nulla di fatto, con Moncada accolto a corte da Carlo V e il governo dell’isola affidato al conte di Caltabellotta, profondamente avverso alle richieste dei rivoluzionari, abbandonò l’isola in cerca di riparo. Fu solo un momento di transizione: già nel 1517, con la Sicilia ormai nelle mani del nuovo Viceré, Ettore Pignatelli, Giovan Luca fece ritorno, forse convinto dall’iniziale volontà del nuovo governatore di trovare un punto d’incontro che mettesse fine alla logorante lotta intestina. Ma i proclami, come spesso accade, non trovarono reale riscontro. Fu allora, dunque, che Squarcialupo indossò i panni del sobillatore: strada per strada, quasi casa per casa, il giovane, screditando l’operato della Corona spagnola e dei suoi rappresentanti, raccolse un consenso trasversale che gli consentì di formare un vero e proprio manipolo di rivoltosi di cui facevano parte semplici lavoratori, borghesi e persino una parte del mondo nobiliare. La data cerchiata in rosso per un’azione memorabile fu quella del 23 giugno, in occasione dei festeggiamenti per S. Caterinta, allora patrona di Palermo, durante i quali tutte le alte cariche della città sarebbero state riunite. Una soffiata, tuttavia, giunse all’orecchio del Viceré, che si apprestò ad annullare il cerimoniale previsto. E Squarcialupo, per tutta risposta, decise di rompere gli indugi. A capo di una sorta di spedizione punitiva, guidò i suoi verso la dimora del Viceré uccidendone alcuni collaboratori. Il fuoco della rivoluzione, con tutta la brutalità che esso naturalmente portava in dote, stava ormai divampando. Lo stesso Squarcialupo, ormai riferimento incontrastato dei congiurati e nominato governatore di Palermo, aveva iniziato a tessere una rete di relazioni diplomatiche: Catania, Agrigento, Trapani, Randazzo erano già sul piede di guerra. Ma il piano, che tanto repentinamente aveva assunto le fattezze di una possibilità di successo, fu altrettanto rapidamente sventato. L’8 settembre del 1517, con un’imboscata che lascia pensare all’intervento di qualche informatore, gli uomini del Viceré travolsero i congiurati proprio presso la Chiesa dell’Annunziata. Una spada trafisse Squarcialupo. E con lui le fantasie di libertà che avevano pervaso l’isola.

Fu un eroe sventurato, Giovan Luca? Un pensatore troppo ambizioso ed ingenuo per il suo tempo? O fu un cinico combattente senza scrupoli nel versare il sangue degli avversari? Forse fu tutte queste cose insieme. Ciò che è certo è che fu tradito. Dall’illusione che i problemi della Sicilia fossero impersonati solo dai suoi governanti. Ma anche dalla convinzione che tutti i nobili e i signorotti – gli stessi che ne decretarono la morte voltandogli le spalle – avrebbero rinunciato ad una parte dei propri privilegi per un bene superiore. Di certo, allora, Squarcialupo rappresenta la malinconia dell’eroe tragico. Che muore, apparentemente, senza lasciare traccia. E che poi riappare, più forte persino di una bomba, nei luoghi dove nulla dovrebbe più esserci.

(Foto di copertina realizzata con Bing Image Creator)

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Giornalista, laureato in Lettere all'Università di Catania. Al Sicilian Post cura la rubrica domenicale "Sicilitudine", che affronta con prospettive inedite e laterali la letteratura siciliana. Fin da giovanissimo ha pubblicato sulle pagine di Cultura del quotidiano "La Sicilia" di Catania.

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