Il teatro Coppola di Catania riparte dall’Amleto di Orofino: «È il dramma dell’uomo moderno»
«Nell’aria c’è entusiasmo, la gente a Catania ha voglia di andare a teatro e io ho voluto farle un regalo, ovvero portare in scena “Amleto”, un super classico, a un prezzo inesistente: solo una piccola donazione volontaria al Teatro Coppola, che riapre dopo quasi tre anni». Quando parla della riapertura del “Teatro dei cittadini” di Catania, risorto nel 2011 dalle ceneri del primo teatro comunale della città (abbandonato dall’amministrazione e riconsegnato alla città grazie all’occupazione da parte di artisti e lavoratori dello spettacolo) Nicola Alberto Orofino non cela la sua emozione. A lui l’onore di far ripartire le attività con l’allestimento del capolavoro shakespeariano che dal 18 al 20 novembre vedrà in scena Alice Sgroi, Luigi Nicotra, Francesco Bernava, Carmela Sanfilippo, Gianmarco Arcadipane, Lucia Portale, Roberta Amato, Alberto Abbadessa e Amedeo Amoros.
L’IMMENSITÀ DI SHAKESPEARE. Non è la prima volta che il regista, formatosi come attore alla scuola del Piccolo di Milano con Ronconi e affermatosi come regista a Catania e lungo il Paese – grazie a regie contemporanee proposte sia in contesti istituzionali come lo Stabile etneo sia off come il Coppola -, ricorre al repertorio shakespeariano: «Dal 2015 a oggi è la terza volta che decido di attingere dal Bardo, lo faccio ogni volta che avverto un momento di crisi, ossia ogni due-tre anni, e la compagnia di attori che mi accompagna condivide questa mia esigenza. Shakespeare è come un supermercato: è fornito di tutti i temi possibili. Dal percorso politico a quello amoroso, dall’emotivo all’esistenziale». Ma quindi, che approccio seguirà l’Amleto di Orofino? «Si tratta di un dramma così ricco che non si può portare in scena integralmente, neppure Shakespeare lo fece mai, solo la BBC ci provò con un allestimento di tre ore e mezza che fu un insuccesso. Bisogna scegliere una tematica e approfondirla».

IL DRAMMA NEL DRAMMA. Nel caso del regista catanese il filone scelto è quello esistenziale: «Amleto rappresenta il dramma dell’uomo contemporaneo. L’incapacità di rispecchiarsi nel mondo che lo circonda, l’insoddisfazione, la voglia di fuggire che lo accomuna ai tanti giovani che decidono di andare lontano: all’interno della tragedia Amleto ne vive un’altra personale e privata. Assalito dai dubbi, questi rinuncia al topos della vendetta, non si piega alla logica del suo mondo che gli impone di vendicare il padre ucciso dallo zio e vive un suo dramma esistenziale».
IL RACCONTO A MODO SUO. Le rivisitazioni dei classici firmate da Orofino si sono contraddistinte negli anni per una cifra stilistica particolare, estremamente contemporanea e pop. Nel caso di questo Amleto, tuttavia, ci svela di aver preferito una strada diversa. «Bloom (ndr: critico letterario statunitense) definì Shakespeare l’inventore dell’uomo moderno ed è così: Amleto è un uomo moderno e io ho deciso di portarlo in scena senza stravolgimenti, a modo mio restando fedele al racconto».